Sanremo 2016: i Giovani e le Cover. Gli Artisti e gli inetti e le Onde Gravitazionali.

Serata di pausa dalla competizione, quella di ieri, dedicata alle cover; Sanremo si ammanta di nostalgia e ciascuno dei Big ha scelto una canzone a caso (potevano almeno stabilire un tema comune) da proporre al pubblico e da inserire nei rispettivi album.
All’inizio della serata si sono esibiti gli altri quattro artisti della categoria Giovani, e devo dire che per tutti loro confermo l’idea che mi ero fatto guardando i video, già pubblicati da qualche tempo sulla pagina ufficiale di Saremo.

Cominciamo dai peggiori: primo fra tutti l’inascoltabile -ennesimo- pupillo della Caselli: Michael Leonardi, voce pseudo-tenorile, pronuncia terribile, la canzone non era neanche così brutta, ma interpretata in modo decisamente antiquato. Altro episodio da dimenticare velocemente è Emal Meta, che ha esibito una canzone decisamente brutta in un’esecuzione piatta con voce lamentosa.
Le cose migliorano leggermente con Miele, che almeno ha mostrato una voce un pochino interessante, pur con delle lacune tecniche, ed una canzone musicalmente non male ma con un testo davvero sbagliato. Chiudo la metà negativa di questa classifica al contrario con Cecile e la sua “N.E.G.R.A.” la cui esibizione ha comunque avuto qualcosa di stonato che non so bene identificare; apprezzo l’idea della canzone di denuncia ma alla fine il tutto mi è sembrato un po’ troppo forzato.

Svoltiamo invece in positivo con l’interessante Irama e la sua “Cosa resterà” che, pur avendo un andamento difficile da apprezzare al primo ascolto, colpisce per il racconto molto intimo e sincero: una confessione fatta al buio, e una parte musicale davvero interessante; sono curioso di ascoltare l’album di Irama, mi sembra una persona che abbia qualcosa da dire.
Terzo posto per Francesco Gabbani e la bellissima Amen; echi di Battiato e Rino Gaetano coniugati in una performance coinvolgente, ironica e al tempo stesso profonda. Convincente e interessante.
Proseguo verso il secondo posto per l’intelligentissima Chiara Dello Iacovo: bello il testo, carina ed efficace la parte musicale e la messa in scena, la canzone è orecchiabile ma non vuota e la sua presenza scenica prelude a una personalità davvero vivace e godibile.
Vincitore, nella mia classifica, è senza dubbio Mahmood. Personalità e voce molto forti, il pezzo è davvero bello e ha un ‘tiro’ pazzesco, è ricco di immagini poetiche e accompagnato da un video spettacolare con una bellissima fotografia. Certo la sua esibizione non è stata impeccabile, ma, anche in questo caso, non vedo l’ora di ascoltare per intero il suo album.

Ma veniamo finalmente ai Big e alle loro cover: apre la serata Noemi che interpreta “Dedicato” in modo estremamente coerente al suo modo di cantare: leggero e un po’ sommario, senza dare spessore alle parole; subito dopo arrivano i Dear Jack che deturpano l’elegantissima “Un bacio a mezzanotte” trasformandola in un tremendo, scalcinato ragamuffin-swing. La voce piatta e inconsistente del sedicente cantante Leiner cerca di inerpicarsi sulle note della canzone, ma precipita alla prima impennata. Da mal di pancia.
Si prosegue -purtroppo- con gli Zero Assoluto, che scopiazzano la bellissima versione di Goldrake fatta da Alessio Caraturo qualche anno fa (https://www.youtube.com/watch?v=d87RK4mhiwg), con esiti deludenti, e privandola di ogni poesia; arrivano poi Caccamo e Deborah Iurato con la bellissima “Amore senza fine” a cui la bella voce di Deborah non basta a rendere giustizia.
Ma passiamo a Patty Pravo che coverizza sé stessa e la sua meravigliosa “Tutt’al più” con l’aiuto del rapper Fred De Palma (come avrà fatto il buon Fred ad esordire con le barre “come sei bella/adesso quei capelli slegali” guardando la Pravo in faccia con quell’acconciatura effetto frullatore senza scoppiare a ridere? …un genio!). Sinceramente non è stato un bello spettacolo vederla fare la vezzosa mentre il rapper ventenne le dedicava quei versi d’amore, né vederla cantare “una ragazza come me”, anche se -in fondo- ha cantato meglio della serata precedente… soprattutto perché i versi cantati in quel brano -tutto recitato- sono pochi.
Dopo di loro Alessio Bernabei distrugge uno dei pezzi più belli di Riccardo Cocciante, con la complicità di due -non meglio identificati- manga giapponesi (Holly e Benji?), trasformandola in una canzoncina da oratorio.
Per fortuna arriva Dolcenera che esegue la bellissima “Amore disperato” di Nada ma con un discutibile arrangiamento; si salva perché almeno canta (bene) sventolando la bacchetta magica arcobaleno (la voglio anch’io!) forse come omaggio a Cristina D’Avena.
È poi la volta di Clementino con la sua concitata, ma non brutta versione di Don Raffaè.
Lampo di genio, unico della serata, Elio e le Storie Tese trasformano la Quinta Sinfonia di Beethoven in un pezzo disco anni ’70. Così si fanno le cover.
Arisa canta (benissimo) Cuore di Rita Pavone, in un arrangiamento lussuosissimo di Nicolò Fragile (che da diversi anni lavora nel team di Mina), in linea con il suono degli anni ’60; è un piacere sentire la sua voce dispiegarsi lungo le scale di questo pezzo senza sforzo, e ridare nuova vita a questa bella canzone. Francesca Michielin, invece, canta con grande partecipazione emotiva “Il mio canto libero” e riesce a farne una bella versione, forse un po’ troppo cantata… ma è questione di gusti. A me è piaciuta moltissimo.
Parentesi napoletana con Rocco Hunt e Neffa che portano entrambi un pezzo del grande Renato Carosone con risultati decisamente diversi: mentre “Tu vuò fa’ l’americano” infiamma l’Ariston grazie alla fortissima energia positiva di Rocco, “’O sarracino” assume un aspetto più sobrio e non convince.
Tralascio il commento su Valerio Scanu e Lorenzo Fragola.
Non mi piace essere troppo cattivo con i bambini, preferisco tacere.
Irene Fornaciari sceglie malissimo una cover che non la valorizza affatto; Morgan non stupisce ricadendo nella solita imitazione di Modugno e Ruggeri in “’A canzuncella” l’avevamo già sentito (non ricordo dove); mentre stupisce Annalisa nella sua versione di America: tinte forti, sound molto rock, la bella Annalisa mette dentro questa cover una voce potente e decisa, tirandone fuori tutta la parte melodica; certo, resta ineguagliabile la carica trasgressiva della Nannini, ma come cover ‘cantata’ devo dire che mi è piaciuta molto.
E finiamo con gli Stadio, che hanno riproposto “La sera dei miracoli” (a cui avevano già collaborato con Lucio Dalla) in una terrificante versione da clinica geriatrica. In questo hanno fatto peggio del povero Facchinetti, strozzato, ululante, rauco sulle imprendibili note di Uomini Soli.
Io, come spettatore, mi sento offeso da questa esibizione (come da quella pietosa dei Pooh). A una certa età bisogna rendersi conto che certe cose non le si può più fare, certe note si perdono ed è inutile strozzarsi sperando di essere coperti dagli arrangiamenti o dai coristi, o che il pubblico ignorante non se ne accorga, perché ce ne accorgiamo, e l’effetto prodotto è -nel migliore dei casi- di simpatica pietà; ma per orecchie più attente tutto questo è uno strazio inascoltabile. Il fatto che siano stati premiati come miglior cover della serata, resta per me un mistero insondabile, ma visto che abbiamo dimostrato l’esistenza delle onde gravitazionali, non si può escludere che presto venga svelato il motivo di questo scempio.



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