Sanremo 2016: i Big in gara. Il giusto equilibrio tra inettitudine e genio.

Si è conclusa stanotte la seconda serata di questo nuovo Festival di Sanremo (in realtà per me si è conclusa stamattina, visto che sto guardando tutto in differita quest’anno, preso da svariate altre cose) e, esibite tutte le canzoni dei Big in gara, finalmente ci si può fare un’idea più precisa del cast, confermare le aspettative, o smentirle totalmente.
Sicuramente, quest’anno più che mai, sono concentrato sulle canzoni in gara, visto che in diversi casi corrispondono a nuovi progetti discografici in uscita che aspettavo da un po’.
Riguardando le esibizioni dei 20 artisti in gara, l’impatto iniziale (escluso qualche sporadico caso) è di grande attenzione e professionalità; belle le canzoni, scelte con cura, interpretate con amore e precisione, scritte bene. 
Mai come quest’anno.
Molto spesso, negli anni precedenti, non vedevo l’ora di ascoltare le canzoni dai vari album, perché spesso si percepiva che l’arrangiamento dell’esecuzione dal vivo con l’orchestra non era proprio in linea con le sonorità di quell’artista, né con quelle che sarebbero state le atmosfere del disco. Quest’anno invece, finora, la sensazione è quella di ascoltare un prodotto finito di grande pregio, quasi non mi viene voglia di sentire i vari singoli.

Partirei volentieri seguendo l’ordine della scaletta delle due serate, ma sarei subito costretto a rimangiarmi tutto quello che ho appena scritto, visto che l’apertura della prima serata è stata affidata al piccolo Lorenzo Fragola (idolo degli under 12) per il quale non mi sentirei di spendere parole di apprezzamento; la sua canzone banalissima è stata definitivamente distrutta dal suo canto-non-canto, con delle terrificanti note lunghe che associare al suono di un guaito è un insulto per i cuccioli di cane.
Quindi passiamo a Noemi che ha portato una canzone davvero bella "La borsa di una donna", non facile, scritta bene e interpretata –a sorpresa- con una intensità inedita per Noemi, che ci aveva abituati a interpretazioni scialbe dove non si dava peso alle parole, né spessore ai suoni (del resto non basta avere una voce un po’ roca per essere una brava interprete). Peccato che la voce in quella serata sembrava non rispondere perfettamente alle intenzioni emotive della cantante; sentiremo la prossima versione e poi il disco per avere un’idea più esatta.
Riguardo ai Dear Jack e al loro ex-cantante Alessio Bernabei, mi sento -in tutta coscienza- di legarli indissolubilmente in un'unica frase: il fallimento di un progetto nato senza alcun fondamento che non fosse la prestanza fisica di alcuni dei componenti del gruppo, che si erano guadagnati una schiera di fans scatenate che li ha supportati per un po’ e che ora (a giudicare delle classifiche) sembra averli abbandonati.
Sempre da Amici, la vincitrice della scorsa edizione: Deborah Iurato non ha goduto del successo meritato -almeno finora- quindi la vediamo costretta a dover condividere lo splendido pezzo di Giuliano SangiorgiVia di qui” con l’insipido Giovanni Caccamo, pupillo della Caselli e vincitore della categoria giovani lo scorso anno. Peccato non poter sentire la canzone interpretata solo da Deborah, che ne fa una versione pulita, precisa, densa; sicuramente lei è una delle cantanti più dotate in gara, e speriamo che questo nuovo album le porti il successo che merita.
Gli Stadio hanno portato una canzone davvero bella, con un bel testo e un arrangiamento importante, ma trovo che il tutto sia stato un po’ svilito dall’aggiunta delle invadenti foto della figlia di Curreri e dalla sua voce imprecisa, spompata e gravemente invecchiata.
Arriviamo finalmente ad Arisa (di cui attendo con interesse l’album nuovo) che è sicuramente la voce più bella tra le cantanti in gara e la personalità più interessante (ho adorato anche quel suo vestitino-maglione che metteva in risalto tutta la sua femminilità); questo suo altalenare tra leggerezza e intensità drammatica è una chiave perfetta per entrare in qualsiasi canzone, e lei interpreta con attenzione e talento questa “Guardando il cielo” non eccelsa, ma bella, impregnata di un sentimento popolare, che –però- è oltrepassato da una visione più ampia: Dio è l’Universo, la vita non è una sola… è troppo presuntuosa la previsione di Una -sola-Verità.
Graffiante e innovativo Enrico Ruggeri che, con la sua "Il primo amore non si scorda mai", apparentemente retrò, sembra tornare a certe sue eccellenti prove di gioventù.
Interessante anche la canzone dei Bluvertigo, se non fosse stata devastata dalle urla strazianti di Morgan… l’unico davvero stonato di entrambe le serate. L’unico peggiore di Patty Pravo.
Irrompe, poi, Rocco Hunt con la sua energica “Wake up”, dai toni rivoluzionari; un giovane cantautore che si sta facendo strada senza mai rinunciare alla sua identità sociale e culturale.
Chiude la prima serata la splendida Irene Fornaciari, con la sua densissima “Blu”, che resta la canzone più bella di queste due serate; grande voce, grande cuore, intelligenza, professionalità, talento, fanno di questa artista una promessa certa per la musica in Italiano degli anni futuri. La sua interpretazione intensa e pulita, l’arrangiamento magnifico e il testo ricco di immagini poetiche mai banali, fanno di questa canzone la perla di questo Festival.

Chiusa in bellezza la prima serata, Dolcenera apre la seconda con altrettanta magnificenza e intensità sulle le note di “Ora o mai più (Le cose cambiano)”, musicalmente parlando un capolavoro di tradizione blues risolta in una modernissima, audace chiave contemporanea (che in qualche modo potrebbe essere adatta a Mina). La melodia insegue un’idea precisa che le parole sottolineano, e che ti conduce su territori inesplorati e selvaggi; la sua voce pulita, intensa, melodiosa rende giustizia a questo pezzo che si pone nella sua carriera come pietra miliare. 
Applausi a scena aperta già alla fine della prima strofa.
Clementino onestamente lo salto; non ha niente che m’induca a non skippare dopo il primo ritornello, mentre Patty Pravo l’ascolto per intero, nonostante l’ansia che mi mette la sua voce tremula, indecisa sulle note, sfiatata. La canzone è bella, l’atmosfera è ampia e solenne, ma manca il requisito fondamentale che me la faccia apprezzare: la voce. Patty Pravo ormai è completamente afona da anni, ma continua a costruire castelli di sabbia fondati solo sull’artificiale immagine che si è fatta nel corso degli anni; questa splendida “Cieli immensi” avrebbe richiesto l’interpretazione di una voce larga, pulita, intensa, vissuta, ma non trapassata; sarebbe stata bella tra le corde vocali di Alice, o -se proprio vogliamo sognare- di Tosca Donati. Peccato.
Valerio Scanu porta un pezzo di Fabrizio Moro… non c’è limite all’assurdo; il povero Scanu, con la sua vocina pulitina è costretto a inerpicarsi fino a note dall’intensità inaccessibile per lui, col risultato di un bambino che prova a imitare Fausto Leali. Per non parlare (perché non mi interessa il look degli artisti) dell’effetto donna-barbuta o fenomeno-da-baraccone che mi provoca vederlo con la barba. Decisamente dimenticabile.
Dopo di lui appare Francesca Michielin in una ridicola salopette-pigiama (che onestamente è troppo anche per me!) che canta un pezzo a tratti interessante. Anche lei non brilla di precisione vocale, ma il pezzo merita un riascolto, più verosimilmente da album.
Elio e le Storie Tese stupisce -come suo solito- ma non convince; molto meglio i due pezzi portati nella loro precedente partecipazione a Sanremo, che avevano una maggiore compiutezza musicale e un’idea di testo più autosufficiente. Questa “Vincere l’odio” mi è sembrata un’accozzaglia casuale di parole e note.
Molto belle invece le atmosfere di Neffa -lui sì- consapevolmente retrò, mentre dimenticabili gli insipidi Zero Assoluto.
Chiude la seconda serata l’unica canzone che mi abbia profondamente emozionato: “Il diluvio universale” cantata magistralmente da Annalisa; molto profondo e toccante il testo, intenso e arioso il ritornello, il tutto cantato divinamente. Una canzone che mi viene subito voglia di riascoltare. Applausi a scena aperta anche per lei.

Tutto questo si è svolto in una cornice sapientemente confezionata da Carlo Conti, con ospiti molto vari (al limite dello stravagante), momenti densi di poesia (Ezio Bosso e Nino Frassica) e le sublimi interpretazioni di Virginia Raffaele, genio assoluto di questo Festival.








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