Le Migliori: Mina e i suoi diamanti nascosti nella neve.
Le Migliori – Primo Ascolto.
Il disco-evento dell’inverno 2016 ha molte mani, molti occhi, tanti
musicisti, molte atmosfere tanto diverse, moltissime parole, tanti versi, molti
acuti e tante note basse, tanti piedi che camminano e tengono il tempo, molte mani
che battono e richiamano l’attenzione, tantissime facce che sorridono ma anche
piangono, molti sguardi che si incrociano e si evitano, e tanti cuori che
battono; ma sopra tutti due cuori, quelli di Mina e Ardiano, che si cercano e
si inseguono, si raggiungono e si amano, ma sempre ognuno dal suo proprio
pianeta musicale.
Le Migliori è un disco fatto di tante idee, un gran calderone nel quale
riversare i centoventianni di
esperienza musicale dei due protagonisti, e forgiare con essi un’installazione
dinamica, un’opera d’arte contemporanea che mescola scultura, fotografia, architettura,
cinema, musica e suoni; e in questo, il progetto, è ben rappresentato dalla sua
copertina, che (sebbene stia in bilico su un esile filo tra geniale buongusto e
spintissimo trash) tenta (con una bella idea di fondo, ma poca attenzione ai
dettagli) di visualizzare la giustapposizione di cose apparentemente
inconciliabili che formano invece un corpo unico.
Che, però, l’intento sia riuscito anche alla sostanza musicale del disco,
non mi sento ancora di affermarlo con leggerezza. Dopo il primo ascolto sono in
bilico tra il pensiero che Celentano abbia rovinato un potenziale capolavoro di
Mina, e quello che Mina abbia preso parte come vocalist eccezionale a un disco
pazzesco di Adriano. Le loro parti non sono suddivise equamente, e c’è grossa
disparità tra i due mondi musicali, e mentre alcune canzoni si arricchiscono
della interpretazione in duo, altre un po’ ne soffrono e perdono in forza ed
emozione.
La parte strettamente musicale degli arrangiamenti è abbastanza equamente
suddivisa tra Massimiliano Pani e Ugo Bongianni (da Lugano) e Celso Valli (da
Galbiate) con in più i due episodi (francamente evitabili) arrangiati da
Giammarco Marcello e Benni Benassi; ma se i pezzi arrangiati a Lugano
risplendono di una essenziale compostezza, gli altri mettono tanta carne al
fuoco, ma restano -a tratti- affumicati da cotanta abbondanza. Anche la
splendida Ti Lascio Amore, ad un
primo ascolto, è decisamente sovrabbondante di suoni, che catturano
l’attenzione e la distolgono del canto e dalle parole.
Tutto sommato carina e decisamente inedita Se Mi Ami Davvero, che poteva restare l’unico episodio alternativo ai due team di arrangiatori
ufficiali, cestinando decisamente e senza ripensamenti l’inutile Prisencolinensinainciusol, di cui
sarebbe invece stato divertente un arrangiamento minimalista tutto incentrato
sulle voci.
Riguardo al canto, invece, siamo su altro genere di commenti: Mina è
immensa, grandissima, iconica, magistrale, sublime; ci regala infinite
sfumature, voci nuove (l’attacco del primo ritornello della sua preziosissima Quando La Smetterò è da brividi, da
solo vale il prezzo di tutte le versioni del disco); e poi suoni, versi, note
basse e caldissime, note dritte dritte, voce flautata e leggerissima, e poi
subito dopo calda profonda e densa di senso, e poi ancora irriverente e
buffa... insomma, un calderone -stavolta- zeppo di meraviglie e di Bellezza
senza tempo. Ormai è difficile trovare degli aggettivi per la voce di Mina,
meglio sarebbe provare con dei sostantivi: pane, acqua, albero, montagna,
fiore, nuvola…
Il canto di Adriano (come avevo già scritto per Amami Amami) resta invece
a volte datato a un'altra epoca: belli i suoi bassi (anche se spesso troppo
carichi e mascherati), bella la voce media comunque ancora agile, ma a volte
troppo ricca di fioriture (per una volta può essere un vezzo, ma tutte le altre
suona decisamente fuori luogo).
In sintesi, se il primo MinaCelentano aveva una sua profonda coerenza, un
legame tra le canzoni, le atmosfere, gli arrangiamenti, e i due protagonisti
(come nelle foto che accompagnavano il bel libretto) si tenevano per mano
fraternamente, portando a compimento un’opera d’arte fatta e finita, qui,
invece, (tolte le singolarità) il tutto risulta un po’ photoshoppato, il che
toglie al progetto generale una compattezza che forse lo avrebbe reso più
godibile.
Le Migliori – Diversi ascolti dopo…
Riascoltare questo disco ulteriori volte, mette a fuoco le idee, rastrema
gli angoli e le asperità, e lascia la mente scivolare verso una più tranquilla
visione d’insieme, appianando però anche la visione più lucida della prima
volta; non è un album facile da metabolizzare, perché -quanto mai prima d’ora-
è davvero composto da tante visioni che si mescolano formando a volte un corpo
unico, altre un insieme non omogeneo.
Ma andiamo con ordine. Sentire Mina cantare (divinamente) su
arrangiamenti non firmati dai suoi più stretti collaboratori, mi fa capire
quanto bene siamo stati abituati finora, e quanto le critiche (che spesso i fan
più sprovveduti hanno fatto) agli arrangiamenti dei suoi ultimi lavori siano
vane e infondate. Gli arrangiamenti di Massimiliano Pani e Ugo Bongianni (senza
dimenticare Franco Serafini), nel corso degli ultimi anni, hanno consentito a
Mina di esprimere tutte (o quasi) le potenzialità vocali insite nel suo canto
in modo sublime e discreto, senza sensazionalismi né mai una sola caduta di
stile. È vero che la sua intelligenza vocale è in grado di sovrapporre la voce
più giusta a qualsiasi arrangiamento, ma è anche vero che (per quanti sforzi
concettuali si possano fare) se il tappeto sonoro è fatto male l’equilibrio
generale ne risente. Certo, la sola voce di Mina avrebbe potuto colmare le
lacune assecondando i troppo vuoti o i troppo pieni del tappeto sonoro con un
arrangiamento vocale adeguato, ma in questo album, la difficoltà ulteriore è
stata doversi accordare con la voce di Adriano, per non accentuare troppo la
sensazione che i due cantassero da due consapevolezze vocali così distinte e
diseguali.
Uno dei brani in cui emergono subito le discrepanze tra questi tre
elementi è la pur meravigliosa Ti Lascio
Amore, un piccolo grande capolavoro firmato da Berlincioni, Culotta e da
Toto Cutugno. L’arrangiamento apre subito con una buffissima intro che potrebbe
essere il preludio a una leggerissima canzoncina pop-radiofonica, sostenuta
però da una ritmica e una frase di chitarra elettrica che fanno presagire una
qualche catastrofe (alla Celentano) in arrivo. Infatti la prima strofa è, prima
solo recitata da Adriano, con una voce cavernosa, disgregata, sofferta
(nonostante il terrificante tu tu tu tu
ttu tu continui imperterrito in sottofondo), poi cantata, ma con una
tonalità talmente bassa da far venire l’ansia.
Dopo tutta questa sofferenza, finalmente entra Mina, e si comincia a
capire come dovrebbe essere la canzone: lei è dolente, dura, pulita canta come
mai prima d’ora senza lasciar spazio a fraintendimenti. Subito dopo entrano gli
archi (i crediti del disco parlano di archi
registrati a Bologna, ma alla fine suonano finti come fossero fatti al
sintetizzatore) che accompagnano il pezzo fino alla fine, ma che restano
completamente scollati da tutto il resto; come un fotomontaggio riuscito male.
Sul ritornello il canto di Adriano è maldestro, con le solite fioriture
fuori posto, e l’effetto finale è di caricatura come per le sue strofe, mentre
Mina sembra cantare un’altra canzone… da un altro pianeta, la canzone che
vorrei sentire. Ma dopo il primo ritornello ricomincia Adriano col suo parlato,
e la canzone subisce un’altra frenata fino all’attacco di Mina, dove si
ricomincia a respirare. Con i due ultimi ritornelli, il pezzo sembra riprendere
un suo corpo d’insieme, ma una strana fisarmonica interviene a destabilizzare
ancora, e dopo, sul finale, ancora il tragicomico parlato di Adriano. Come
rovinare un capolavoro.
Per fortuna (o per volontà di Mina) il disco è zeppo di canzoni
fortissime, e l’amarezza per non aver potuto sentire la sola versione di Mina
di questo pezzo (arrangiata da chi di dovere), lascia il posto alla bellezza
essenziale di È L’Amore, splendido
brano di Mingardi e Tirelli, arrangiato dalle mani fatate di Pani e Bongianni.
Qui Adriano è meglio contestualizzato e la voce, non troppo carica, segue una
tonalità più giusta; Mina canta il primo ritornello con una decisa levità che
fa tremare le caviglie, e rinforza -poi- il volume nei successivi ritornelli,
dove archi sintetici (che invece sembrano veri) contrappuntano, accompagnano…
strumenti in mano a professionisti. Bello il voicing sul bridge prima
dell’ultimo ritornello, su cui Mina svolazza consapevolmente.
La meraviglia prosegue con Non Mi
Ami, dove leggerezza è sinonimo di Pop, ma mai a discapito della
profondità, nonostante il battibecco un po’ forzato nella prima strofa, che non
aggiunge niente alla canzone, ma solo toglie un po’ di musicalità e sacralità
al cantato di Mina. L’arrangiamento (stranamente saltato nei crediti del disco) di Pani e Bongianni riporta ad
atmosfere radiofoniche e lievi, con tutti i suoni al loro posto. Qui il canto
di entrambi è molto misurato e perfino Adriano risulta gradevole e preciso (nonostante
le solite vecchie fioriture che, purtroppo, dobbiamo tollerare in diversi brani),
mentre Mina torna suadente e minosamente
un po’ malinconica.
Altro pezzo forte del disco è Sono
Le Tre: emozionante, delicato, malinconico e ricco; è incredibile come la
voce di Mina si appoggi divinamente sull’arrangiamento della strofa
enfatizzandone l’essenzialità e staccandosene per essere pura emozione; quel
suo blu sul primo ritornello, con la
voce un po’ rotta è una minuzia argutissima, un diamante nascosto nella neve,
una raffinatezza da cucina molecolare. Se dovessi scegliere un pezzo da poter
ascoltare solo nella versione di Mina, voterei senza dubbio questo.
La canzone che Mina canta da sola, invece, Quando La Smetterò, è una ballata dolente, intima, sapida; Mina è
immensa, sfodera una voce inedita nel primo ritornello, che sembra provenire da
una dimensione parallela; un soffiato con forza, una sottolineatura per
sottrazione, è proprio quel qualcosa
-di cui parla- che ti sorprende e che nessuno può spiegare. Applausi a scena
aperta anche per gli arrangiatori.
Ma Che Ci Faccio Qui, invece,
ricorda molto da vicino la fortunata Che
T’Aggia Dì (del primo MinaCelentano), essendo strutturata con battibecchi
ed interventi parlati di entrambi. Scritta da Pietro Paletti (ultimo esponente
di un cantautorato -sui generis- in
agonia), ben rappresenta la rivoluzione culturale legata al ribaltamento dei
ruoli uomo-donna: qui è Mina che tradisce e si stufa della discussione, mentre
Adriano non riesce a mollarla. L’arrangiamento stavolta è agile e molto Pop (e
molto Celentanoso) per cui il cantato
di Adriano nelle strofe risulta troppo pesante, straziante, sofferto, fuori
misura. La voce di Mina, invece, è maschile, dura, senza cedimenti (nel brevissimo
pezzettino di strofa che si concede di cantare) e invece cialtrona e
irriverente nei parlati, mentre quando -finalmente- accenna il ritornello è
irrinunciabile e dritta come una spada, tanto che alla fine ti chiedi perché in
questo pezzo (e in A Un Passo Da Te)
Mina faccia da vocalist di lusso a una canzone fatta essenzialmente solo da
Adriano.
Molto bello il pezzo di Fabio Ilacqua: A Un Passo Da Te, dalla ritmica tipicamente Celentanesca che
infatti risulta a suo agio nel cantato di questo pezzo (come in nessun altro
del disco), e quando Mina entra -sul ritornello- sembra quasi voler imitare il
cantato di Adriano, con una voce irriconoscibile, dritta e strillata, fresca e
incredibilmente lucida. Impietoso, invece, è il reprise del ritornello finale
con la voce dell’autore, molto meglio sarebbe stato ripetere il ritornello di
Mina (magari con una voce diversa).
In questa serie di pezzi leggeri, leggermente grotteschi e molto
battibeccati, spicca Se Mi Ami Davvero,
incredibilmente scritta da Giammarco Marcello (ossia Mondo Marcio). Qui Mina sfodera
un canto freschissimo e moderno (molto più dell’arrangiamento che l’accompagna,
che suona un po’ troppo anni novanta per sedurre un orecchio calato nella
contemporaneità) che riesce a dare un senso musicalmente corretto a dei versi
un po’ barcollanti. Adriano, dal canto suo, porta a casa un rap dalla metrica
abbastanza complicata in modo eccellente.
Chiude il disco la meravigliosa Come
Un Diamante Nascosto Nella Neve; qui c’è meno disparità tra le due voci,
che viaggiano su interpretazioni più simili: Adriano è nel suo range vocale
senza mascherature e azzardi, mentre Mina lo imita un po’, incrociando al suo
un canto quasi più maschile e presente, sostenuta da una perentoria,
inossidabile, ineguagliabile forza canora. Anche l’arrangiamento, meno
artificioso e confusionario di quello di Ti
Lascio Amore, tiene insieme il tutto in modo più unitario e teso.
…sì, sì lo so che c’era un altro
pezzo, ma stenderei un pietosissimo velo su questa tamarrata da discoteca
di provincia brianzola. Facciamo finta che il disco sia finito e che nella
riedizione dell’album nel 2017 ci sarà la versione acoustica-live-in-studio di Prisencolinensinainciusol. Odio i remix
in generale, ma questo lo trovo inutile e distonico.
Il contenuto del disco “Dietro le Quinte” è decisamente divertente,
certo, anche in questo casi ti chiedi il perché di tanta avarizia: otto minuti
per quattordici tracce. Potevano anche abbondare un pochino… ma certo, sono
anni che diciamo che se Mina incidesse un disco con dei gargarismi faremmo la
fila per andare a comprarlo… ed eccoci serviti.
In sintesi, come dicevo in apertura, Le Migliori è un disco con dentro
tante cose diverse, con poca Mina ma di eccelsa qualità, con molto Adriano ma
di qualità un po’ meno eccelsa; un disco che suona bene e male, con una
copertina un po’ bella e un po’ brutta. In una parola un pastiche, con momenti di pura poesia e bellezza, che superano comunque in intensità quelli meno riusciti.
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