Io sono Paola Turci; pura Bellezza, servita senza contorno


Io sono. Inequivocabile come uno sguardo deciso che non ti lascia, semplice come una verità detta a voce piena, denso come la vita pienamente vissuta e finalmente raccontata senza censure, senza compromessi.
Questo album è una folgorazione, e la Bellezza parte dalla copertina: un primo piano dove Paola Turci non si nasconde più, ma rivela le sue cicatrici con onore, con la fierezza di chi le ha odiate, e ha odiato se stesso, ma poi si è perdonato. Mi amerò lo stesso è il titolo della sua autobiografia da poco uscita, e questa raccolta di canzoni ne è il completamento più naturale, anzi, forse potrebbe esserne l'origine.

L'album apre con una sorprendente Volo Così in versione minimal, con un arrangiamento sublime, e di grande respiro, come un classico senza tempo. La voce misurata, pulita, asciutta racconta le immagini senza distorcerle, ma porgendole con una grazia inarrivabile, con la sacralità di una messa laica.
In Stato Di Calma Apparente continua l'essenzialità: una ritmica elettronica apre il pezzo su cui poi si appoggiano le chitarre, solo dopo il primo ritornello entra la batteria ad incalzare l'andamento del treno (di cui si parla nel testo) e a dare spessore all'aria, e all'atmosfera onirica e ipnotica come la voce, spogliata da ogni preteso inspessimento rock.
Leggermente diverso il trattamento riservato i tre brani inediti di questo album; Io Sono ha già un più prevedibile arrangiamento pop-rock, senza perdere misura e rispetto per le parole e grande attenzione alle intenzioni. Uguale attenzione ritroviamo in Questa Non È Una Canzone, dove il suono aiuta la voce (più appassionata e sensuale) nel racconto; mentre in Quante Volte Viviamo sembra che la voce ci arrivi da un'altra dimensione, da un altrove in cui risiede la nostra coscienza.

Mani Giunte è un piccolo capolavoro soprattutto nella distanza che interpone con la versione originale (un vibrante brano-rock-incazzato); qui l'arrangiamento asciutto, teso, elettronico ci porta in una dimensione nordica, in un clima glaciale. L'immagine è quella di una grande strada ghiacciata, con alberi coperti di neve e all'orizzonte una città da cui sale il fumo di alcuni incendi. una storia sbagliata che per estensione si applica a tutta la società, e sul finale la macchina prosegue lasciandosi la città alle spalle.
Necessaria la rilettura di Quel Fondo Di Luce Buona, che, disincarnata da quella leggerezza che la pervadeva nella versione originale, rivela tutta la sua matura profondità grazie anche alla voce che non riempie di finto, eccessivo pathos le parti alte (come accadeva nella precedente) ma approfondisce il senso del testo per un risultato più credibile e vissuto. Anche per Lettera D'Amore D'Inverno è stato fatto un eccellente lavoro nello scrostarla di quel vestito anni '80 di cui era stata agghindata; la vecchia versione con il suono un po' alla Battiato, la voce acerba, e quei voicing decisamente datati non lasciavano apprezzare la bellezza delle parole, che qui invece viene messa in risalto da una inedita dolcezza.
Eccellente lavoro sulla distanza anche per Ringrazio Dio, che parte con una superba intro di chitarra, su cui si appoggiano una ritmica possente e dei favolosi suoni elettronici. Questo è uno di quegli arrangiamenti talmente ben fatti che, pur lasciando intatto il corpo univoco della canzone, ti permette di distinguere ogni singolo suono di ogni singolo strumento come se fosse l'unico; inoltre il voicing (piuttosto datato) della versione originale, è qui sostituito da uno straniante tappeto d'archi sintetici che dà al tutto un gusto distorto, onirico, rallentato...

Dimentichiamo Tutto, a differenza dell'originale (che sembrava partorita nel mezzo di una guerra) risulta più sommessa, intima, una zona di quiete in cui fare la ninna nanna a un bambino; la ritmica incede, ma più sommessa, lontana.
Anche Bambini è stata lievemente spogliata di ogni sovrastruttura, e alla splendida chitarra iniziale si sovrappone un sognante violoncello che dà maggiore spessore alle parole, sussurrate con la delicatezza di una madre che canta per il figlio. 
L'inarrivabile Bellezza servita senza contorno.
Questione Di Sguardi e Mi Manchi Tu, i due pezzi più leggeri per propria natura, perdono qualsivoglia riferimento americano per diventare l'uno un asciutto pop internazionale, l'altro un pop-jazz morbidissimo (su entrambi un bellissimo effetto di voci nella parte finale).
Chiude questo disco denso, teso, rigoroso, delicatissimo e sublime un capolavoro di essenzialità: Ti Amerò Lo Stesso, fatta di sola voce che si riverbera e si fa tappeto di sé stessa a sostegno degli spazi tra un respiro e l'altro.
La degna chiusura da brividi di un disco splendido. Impossibile fare di meglio.
Applausi a scena aperta a tutti.



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