Amami amami, il ritorno della Migliore e la musichetta che gira intorno.

Amami Amami è il primo singolo estratto dal secondo album in uscita di Mina con Adriano Celentano: Le Migliori. La canzone è davvero bella: un trascinante ritmo (assolutamente inedito per la discografia di Mina) accompagna una melodia speziata di medio-oriente nelle voci dei due protagonisti, a creare un intreccio mai dichiarato né ostentato, ma decisamente irrinunciabile.
Vocalmente -non stiamo neanche a ribadirlo- Mina esprime tutta la sua superiorità, pur rimanendo un po’ in disparte; la tonalità maschile e il tono complessivo del pezzo non le permettono grandi virtuosismi, ma tutta la Bellezza è giocata dentro le righe, mai sopra. La sottigliezza di certi chiaroscuri, la meraviglia di quelle “a” (mai, a memoria d’uomo così splendidamente modulate e rotonde) di Amami Amami, che supera in maestosità le leggendarie “i” di fine verso, e la decisione delicata delle strofe che fa da contraltare a un ritornello sontuoso, carezzevole, suadente, sono le carte vincenti di questa interpretazione.

Adriano fa la sua parte con dignità e risolutezza, ma, in confronto a quello di Mina, il suo canto (pur intenso e asciutto) a volte soccombe in fioriture decisamente retró, che producono un effetto straniante in contrasto con la contemporaneità del pezzo; c'è da dire, però, che con i ripetuti ascolti, questa sensazione di vecchiezza lascia il posto alla consapevolezza che quel malcelato vezzo sia stato messo lì in bella vista apposta, come il vocalizzo di una Diva che rifà il verso a sé stessa.
La canzone è, in una parola, fortissima, e -pur se l’arrangiamento pretende una modernità lievemente fuori misura- la magia del tango porta entrambi a esprimere con facilità una gran carica interpretativa.

A questo punto il mio scritto potrebbe essere finito, rimandando il lettore alla pubblicazione dell’intero progetto; purtroppo però, l’uscita di questo primo brano ha aperto le gabbie degli innamorati abbandonati, dei critici improvvisati, delle casalinghe disperate, dei maestri che non hanno mai avuto niente da insegnare e dei discepoli che non hanno capito la lezione, e (complice l’eccessiva democraticità del web, che permette a tutti di esprimersi liberamente) la stessa critica messa in giro da qualcuno, ha cominciato a rimbalzare -come le onde prodotte da un sasso lanciato in un lago- dentro le menti vuote e sulle pagine di Facebook.

Commenti infondati sulla bruttezza della canzone, sull’arrangiamento troppo commerciale, sul volersi arricchire con un progetto vuoto, sul video inappropriato e giovanilistico, e sulla presunta partecipazione alla prima serata Rai in loro onore troppo ambigua… Mina e Adriano Celentano sono, tra i personaggi della musica in italiano, in assoluto i più famosi e longevi, e questa loro nuova uscita li rimette prepotentemente sotto i riflettori; qui ciascuno si sente in diritto di criticarli per qualsiasi cosa, ma nessuno -nessuno- si è soffermato ad ascoltare la canzone con l’attenzione e il rispetto che ogni nuovo lavoro merita, senza lasciarsi abbagliare dalla apparente leggerezza del ritmo -perché no?- moderno e accattivante.
Com’è facile criticare da un punto di vista approssimativo. Dalla superficiale mediocrità tutto appare mediocre e superficiale e fa da specchio alla nostra mediocre essenza; ciascuno proietta sé stesso nelle cose che ama (o pretende di amare), ma nessuno cerca di andare oltre il primo passo, oltre il sentito dire, oltre il presunto, per arrivare al cuore delle cose, alla bellezza profonda di questo pezzo contemporaneo e retrò, ambiguo e semplice, divertente e profondo.

Quello che ciascuno sente durante l’ascolto di un pezzo nuovo è influenzato da tutto quello che ha ascoltato prima, e se questo è rappresentato dalla musichetta che gira intorno adesso, o dalle monotone voci computerizzate internazionali, o dalle canzoncine idiote che sbancano youtube, allora sarà davvero difficile che il grande pubblico riesca ad apprezzare certe sottigliezze del canto di Mina, visto che neanche tra i più esacerbati sostenitori della Tigre è così facile trovare persone che le apprezzino davvero.

Lo stacco tra Lei e i suoi contemporanei è sempre stato profondissimo ed è cresciuto nel tempo: negli anni ’50 la differenza tra Lei e le altre era abissale, come oggi tra Nilla Pizzi e Lady Gaga; nei ’60  Mina era La Divina, diva e interprete suprema, e le altre delle piccole donne che tentavano di imitarla; nei ’70 ha preso ruoli vocali inauditi e aperto la via a tutte le altre; negli anni ’80 è fisicamente sparita ed ha marcato la differenza con le altre attraverso una discografia ricchissima ed inimitabile; dai ’90 ad oggi ha approfondito le sue interpretazioni ampliando ancor di più lo spettro vocale e andando a scavare dentro le profondità di ogni parola. Oggi, le sue interpretazioni sono talmente oltre, da lasciare sbigottito un pubblico che regredisce insieme ai contenuti che gli vengono proposti dagli imperatori della musica commerciale, e da una televisione sempre più tesa alla spettacolarizzazione del talento in erba (“guarda com’è bravo tal dei tali, sembra quasi un cantante vero!”) che alla proposizione del talento reale e consolidato.

Per cui, a meno che non ci sia presto una rivoluzione culturale, e una inversione di tendenza verso l’attenzione e la profondità necessarie a comprendere la Musica, a meno che non si ritorni a insegnare veramente ai piccoli (che sarebbe l’unica soluzione per costruire una futura e migliore consapevolezza, non solo musicale) non facciamoci illusioni, e rassegniamoci all’idea di rimanere sempre in meno ad amare la Musica (e la sua Regina incontrastata) sempre di più.


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