Mina, il Live'78 e l'improcrastinabile Era dell'Acquario
Il
doppio album Mina Live’78 fu
pubblicato a dicembre di quello stesso anno, conteneva la registrazione audio
integrale di una delle undici repliche che vennero fatte di quell’incredibile
spettacolo: tutte le canzoni interpretate da Mina il Ventitré Agosto del Millenovecentosettantotto, sul palco della Bussola
di Marina di Pietrasanta.
Chissà
se, durante quelle -ormai mitiche- serate di Musica e passione, Mina sapeva che
stava chiudendo un capitolo della sua
storia personale e musicale; chissà se immaginava che quelle erano le
ultime volte che sentiva il calore e l'affetto (certo forse esagerato, e
probabilmente non richiesto, ma vero e sincero) del suo pubblico, che all'epoca
non era elitario né di nicchia come quello di oggi, ma solo il grande pubblico da cui si è
progressivamente distaccata nel corso degli anni.
Chissà
se ha gioito della sua decisione, pensando che finalmente il sipario dei suoi
spettacoli dal vivo si fosse definitivamente chiuso per non riaprirsi mai più
(come si può festeggiare per la fine di un esame arduo, o per l’ultima versione
di latino della propria carriera scolastica) o se la decisione sia maturata il
lei giorno dopo giorno, anno dopo anno, un diniego dopo l’altro, una canzone
dopo l’altra, una torta dopo l’altra, un doppio dopo l’altro... o se non sia
invece stata una decisione sofferta che abbia lasciato un segno forte anche in
lei.
Ma probabilmente
quella data era già scritta dentro le sue prime
incisioni in studio, subito vendute
in Quarantacinque Giri, quando ha
sperimentato che si poteva arrivare a più persone attraverso un disco -cantato
una sola volta- che in molti estenuanti concerti (lei, che ha sempre mal
tollerato le ripetizioni); o dentro la prima velenosa insinuazione del primo
malevolo articolo pubblicato sul primo inutile giornaletto scandalistico; o
dentro la più preziosa nascita del suo primo figlio, quando la voglia di essere
madre deve aver surclassato tutte le altre precedenti ambizioni.
Chissà
se si sentiva davvero così a disagio anche nella più ridotta dimensione degli studi televisivi, (come il mitico Teatro delle Vittorie) dove ha creato un
capolavoro dietro l’altro con la complicità di grandi Maestri e arrangiatori
(primo fra tutti l’immenso Gianni Ferrio),
indossando la più svariata gamma di costumi di scena (ineguagliata perfino
dalla clownesca Lady Gaga) senza mai apparire fuori luogo; chissà se le pesava
davvero così tanto elargire le sue perle al mondo, destrutturare ogni parola e
ricomporne l’armonia in ogni riga, in ogni verso, in ogni nota che le uscisse
dalla bocca.
Non lo
sapremo mai; né mai riusciremo a dare un colore o un sapore a questo
lunghissimo addio in musica che non sia quello delle centinaia di canzoni
incise negli anni successivi, quelle centinaia di momenti in cui forse il suo
categorico, irremovibile diniego ha un po’ vacillato, minato -chissà-
dall’emozione che l’esecuzione di quella canzone su un grande palco avrebbe
potuto darle.
Chissà
cosa direbbe oggi Manlio Sgalambro,
dopo aver scritto (negli anni ’90) che la vera musica contemporanea vive esclusivamente
su disco, e che i concerti sono ormai superflui; chissà cosa direbbe di YouTube
o Spotify, della crisi delle radio, di MTV, di quei terrificanti Awards (di
cotal svariata natura da averne perso il conto) celebrati in giro per il mondo,
a premiare chi è stato più pompato dalla sua casa discografica, o chi ha
sborsato più soldi per essere moltiplicato in ogni forma sessualmente commerciabile,
e che una mozzafiato performance di Beyoncé non può certo salvare dalla
volgarità e dalla noia... Chissà se sarebbe ancora convinto che il Luogo di
esistenza della Musica è proprio il disco, oggi che il disco è definitivamente
morto (nonostante la ricomparsa di vintage-issimi, giradischi nella casa di
ogni radical-chic che si rispetti a Milano, dove però si ascolta solo musica davvero vintage, seguendo il
gusto tremendo della stramberia e del trash).
Certo
è che la memoria di quelle serate, e di tutta l’assenza che è venuta dopo ha
tanto fatto parlare, quanto nociuto alla popolarità di Mina, e non sono bastate
valanghe di canzoni meravigliose e
riportarla in auge o nel cuore del pubblico, di quel grande pubblico un po’
ignorante ma pronto ad emozionarsi, molto distratto ma attentissimo ad ogni
sbavatura -indelebile come una macchia di sangue- della sua vita personale. A
quel grande pubblico molti si sono votati e immolati, creando di sé stessi una
versione ripulita, accettabile, interessante, vincente; ogni artista si è
inchinato, prostrato, umiliando ogni guizzo artistico, tarpando qualsiasi cosa
potesse turbare o allontanare il suo
pubblico. Quasi tutti l’hanno fatto. Lei no.
Lei ha
continuato a incidere le canzoni che voleva, scegliendo gli arrangiamenti che le
piacevano, collaborando con amici e conoscenti, tirando dentro figli e nipoti e
lasciando fuori dalla porta tutto il resto del mondo, tutto quello che non
fosse importante per lei, tutti quelli che l’avevano ferita o avrebbero potuto
farlo, e quel grande pubblico alla cui volontà non si è mai asservita.
E
chissà cosa ne pensa lei adesso, dopo
quarant’anni di punto e basta, dopo sessant’anni delle canzoni che voleva
lei, dopo aver così profondamente inciso nel mio modo di ascoltare Musica, e in
quello di tutti coloro (non moltissimi in verità) che nel corso degli anni l’hanno
davvero capita, scindendo il
personaggio pubblico, la sua vita privata, i suoi abiti di scena (per arditi
che fossero), i pettegolezzi, dall’unica vera, formidabile, platonica
espressione della sua Arte: il Canto.
Il
rammarico di suo figlio -suo grande ammiratore- è quello di non veder
riconosciuto il lavoro enorme e meraviglioso di sua madre per quello che
davvero è, e di vederla oggi relegata (pure Lei, immensa e ineguagliabile) come
tanti, in una piccola (ma luminosissima) nicchia dove la popolarità non coincide con l’attualità.
Ma
purtroppo il gusto del pubblico si è involgarito, i ragazzini vivono su un
altro pianeta (che definire musicale
è un affronto alle generazioni di Musicisti ed Artisti che hanno preceduto
questi improbabili, incolti, noiosissimi -e mi si tacci pure di “solonismo”- poetastri di strada), i vari
xFactor stanno insegnando al pubblico che, se canti bene, facendo risuonare le
note, dando musicalità al testo e dando spessore al brano, allora il tutto è troppo cantato (odio profondamente
questa definizione), e quindi da scartare. Il grande pubblico oggi ascolta solo
le playlist casuali di Spotify, o guarda dal cellulare i video di YouTube, con
un audio che fa sembrare i vecchi grammofoni un palco da concerto.
I
dischi sono morti, caro Manlio Sgalambro… ma la Musica sopravvivrà?
Io
sono convinto di sì, che prima o poi torneremo e scoprire le meraviglie di
questi anni, e che album mirabili come questo, e gli altri di Mina che
l’avranno seguito, faranno indissolubilmente parte del Patrimonio di una Umanità rigenerata e più pura. Che
venga davvero, finalmente l’improcrastinabile Era dell’Acquario!
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