Il ragionier Giustini e la Costellazione.
Quella mattina, il ragionier Giustini,
si era alzato come sempre di buon'ora, svegliato dal timido sole di una
primavera appena incominciata; un giorno speciale si era presentato alle sue
finestre, ma lui ancora non lo sapeva.
Aveva cominciato la sua giornata come
sempre: musica delicata per non scuotere ancora l'animo con emozioni troppo
forti, caffè caldo e profumato di nuovo inizio, i suoi biscotti preferiti (che
comprava regolarmente dalle mani della ragazza dai capelli rossi, figlia del
panettiere), e un po' d'acqua ai suoi tulipani, piantati come ogni anno nelle
fioriere alla sua finestra, ricordo -ancora miracolosamente vivo- di un viaggio
lontano nel tempo.
Mentre dava l'acqua ai suoi preziosi
fiori, che cominciavano a profumare l'aria che entrava dalla finestra, il suo
sguardo fu attirato da qualcosa di insolito: una busta spuntava dalla sua
cassetta delle lettere. La solita corrispondenza era già arrivata quella
settimana, e per quanto cercasse di indovinare quale tipo di comunicazione lo
aspettasse, la sua mente non riusciva a immaginare cosa potesse contenere
quella busta misteriosa.
Infilò velocemente il suo maglioncino
di lana blu e uscì a prendere la posta.
Era una busta azzurra, di una carta
fatta a mano con una trama leggera ma particolare; su un lato recava il suo
nome scritto con una stilografica, ma non con il solito tratto arzigogolato che
ci si potrebbe aspettare, era scritto con una grafia bella ma non leziosa;
dall'altro lato la busta era siglata con un timbro di ceralacca bianca. Lo
riconobbe. Erano due M leggermente sovrapposte con intorno una cornice di
foglie di edera.
Era la sua cara amica.
Da molto tempo non si vedevano,
sebbene spesso si scrivessero delle belle, lunghe lettere, ma quella non era come
le solite che lei gli scriveva, si capiva che portava un messaggio speciale.
Perso nelle sue fantasticherie, rimase
diversi minuti a rigirasi la busta tra le mani, finché lo scampanellio di una
bicicletta che passava per la sua stradina non lo riportò alla realtà: era ora di
uscire per andare a lavoro; rientrò in casa, depose la preziosa lettera sul suo
scrittoio, chiuse la porta e si avviò verso la fermata dell'autobus.
Avrebbe letto la lettera quella sera,
dopo aver cenato; non era più impaziente come un tempo, sapeva coltivare un
pensiero, un'attesa, un sogno. Sapeva che, intanto che non fosse arrivato il
momento di aprire la busta, avrebbe vissuto tutta la sua giornata con in mente
lei, il suo viso che sempre gli trasmetteva serenità e forza, la sua voce che
l'accompagnava nelle sue riflessioni e nei suoi altalenanti stati d'animo, le
sue mani che gli serbavano comprensione e doni impagabili.
Anche la lettera aspettava, ma, col
trascorrere delle ore, aveva preso posto in quella casa, ne aveva assunto
l'odore, le vibrazioni, ed era entrata in contatto con la sua anima; si era
nutrita della luce del sole che l'aveva scaldata e del caldo sostegno del legno
che la reggeva. Era diventata a tutti gli effetti la presenza di lei dentro la casa del suo vecchio amico.
Quella sera la cena del ragionier
Giustini fu leggera -più del solito- e buona -più del solito; anche la sua
giornata era stata bella, i suoi colleghi non avevano fatto che chiedergli cosa
avesse da essere così felice, ed ora che la sera era giunta, sapeva che
finalmente stava per arrivare il momento di sapere cosa aveva da dirgli la sua amica.
Prese il suo tagliacarte, e con un
gesto deciso ma delicato aprì la busta. Un leggero odore di malvarosa si sparse
nell'aria e subito la sua mente andò al ricordo di quella finestra, dove lei
aveva il suo scrittoio, che dava verso il porticato su cui rampicava la preziosa
essenza.
La busta conteneva un cartoncino azzurro
su cui era scritto con la stessa grafia che c'era sulla busta: "Carissimo
Amico, so che è tanto che non ci vediamo. Ho molto da raccontarti, e tutti qui
mi chiedono sempre di te. Mercoledì, come ricorderai, è il mio compleanno; sai
che non amo i festeggiamenti, ma sarei felice se volessi unirti a noi per un
pomeriggio informale di chiacchiere e progetti. Ti aspetto. La tua amica M.M."
Vari sentimenti si alternavano
nell'animo del ragionier Giustini, ma sopra tutti prevaleva la gioia di poterla
riabbracciare, e sentire ancora una volta la sua voce raccontargli eventi e
progetti. Lui non amava il telefono, non gli piaceva parlare con qualcuno senza
guardarlo negli occhi, così la loro amicizia era stata costruita su quegli
incontri sporadici e sulle lunghe lettere che si scambiavano regolarmente.
Quel mercoledì il ragionier Giustini
giunse al binario, da cui sarebbe partito il treno, con largo anticipo; il
trambusto intorno a lui non lo toccava, la gente correva, si accalcava, i treni
sbuffavano la loro impazienza, la fredda voce elettronica scandiva arrivi e
partenze, ma lui restava fermo, perfetto nel suo abito marrone, con la cravatta
a fiori colorati e il suo cappello; un lieve profumo di pulito creava come una
bolla tutto intorno a lui, a sottolineare la differenza tra quell'omino candido
e il resto del mondo.
Il treno partì e arrivò con puntualità
svizzera, e lui ne discese intatto.
Con la sua piccola valigia, attraversò
senza fretta il centro dell'accogliente cittadina dove il sole splendeva delicato e
la gente sorrideva... o almeno così gli sembrava. Dopo aver attraversato la
piazza e alcuni cortili si inoltrò per la stradina di campagna che conduceva, attraverso
un piccolo bosco, alla sua destinazione. In mano portava un pacchetto, non poteva
certo presentarsi a quel compleanno così importante senza un dono, ma non era
un regalo costoso, era qualcosa di prezioso e semplice come il pensiero di un
bambino, lo sguardo di una madre, o un ricordo d'infanzia su cui non si torna
spesso per paura di sgualcirlo.
Il suo cuore batteva forte, un po'
accaldato dalla lunga passeggiata e soprattutto perché sapeva cosa l'aspettava
al di là della porta a cui era giunto: affetto, attenzione, emozione, la
famiglia che lui aveva da sempre sognato e la Bellezza, che lei sola diffondeva
attorno a sé come un'Aura.
Sapeva che l'avrebbe trovata nel suo
studio, intenta al lavoro, seduta al banco di regia a riascoltarsi, oppure al
di là del vetro a provare accompagnata dal piano, o zitta ad ascoltare i
movimenti degli archi diffondere e innalzare emozioni; sapeva anche che
assistere al miracolo di persona, esistere nello stesso luogo dove la voce di lei creava
parole e suoni nuovi, era il suo impagabile regalo per lui; un regalo elargito con al
gratuità che l'Arte reca in sé, un regalo che si era conquistato
forse in altre vite, perché in questa non gli sembrava di essere così
speciale da poterlo meritare.
Il ragionier Giustini rimase tutta la notte a
nutrirsi dell'Arte di lei, delle parole che uscivano rinnovate dalla sua bocca, dei suoi sguardi che dicevano con fermezza e amore, delle sue confidenze e delle attenzioni...
finché si addormentò stanco e felice, arricchito e ricolmo di speranza. La speranza che
era figlia della certezza. La certezza di avere vissuto un momento di contatto
con l'Assoluto, di aver toccato ancora una volta con mano il cielo in una
stanza, di aver viaggiato nel tempo, nello spazio, nell'Iperuranio; di aver
capito e dimenticato, e poi capito ancora e ancora dimenticato, in un ciclo di
vite parallele e sovrapposte che ci accomunano alle stelle, alle foglie degli
alberi, alla spirale di una conchiglia e al mistero delle costellazioni.
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